Basilea 3
BASILEA 3: Buffer di Capitale ed impatto sul Pricing alle imprese
Verso Basilea 3
L’accordo di Basilea nasce con l’obiettivo di tutelare il piccolo risparmiatore e di garantire la stabilità del sistema bancario. Si tratta di un insieme di regole emanate dalla Banca dei Regolamenti internazionali (la Banca delle Banche Centrali, che ha sede a Basilea), volte a definire i requisiti minimi che il sistema bancario deve rispettare per garantire la stabilità economica e finanziaria.
Il primo accordo sul capitale venne introdotto nel nostro Paese nel 1988 (Basilea 1); più recentemente (2008) è entrato in vigore il tanto discusso accordo di Basilea 2, che apportò importanti novità e complicazioni rispetto al precedente.
In estrema sintesi, l’accordo di Basilea 2 (organizzato in tre grandi pilastri) definisce l’ammontare di accantonamenti che le banche debbono effettuare a fronte dei rischi sopportati.
Vengono contemplati tre importanti rischi:
- – di credito;
- – di mercato;
- – operativo.Le novità più importanti di Basilea 2 riguardarono principalmente il rischio di credito e quello operativo (quest’ultimo non previsto dalla precedente regolamentazione).
Furono però i requisiti patrimoniali introdotti a fronte del rischio di credito a sortire maggior interesse e a produrre maggiori effetti sul mercato, e ciò, soprattutto, a causa di una forte dipendenza delle imprese italiane, notoriamente medio-piccole, dal sistema bancario.Secondo l’accordo di Basilea 2, l’Istituto di Credito deve accantonare una quota proporzionata al rischio sopportato sulle operazione di impiego.
Gli accantonamenti previsti sono di due tipi:
- – accantonamenti per le perdite attese (expected losses)
- – accantonamento per le perdite inattese (unexpected losses)Le perdite attese vanno coperte con accantonamenti a conto economico (quindi rappresentano un costo diretto per la banca), mentre quelle inattese con accantonamenti a Patrimonio di Vigilanza (composto da Tier1: equity e prestiti irredimibili e Tier 2: debiti subordinati che soddisfino le condizioni previste).
Le perdite attese vanno calcolate secondo il seguente algoritmo:EL = EAD X PD X LGD
Dove:
EL = Perdita attesa;
EAD = Esposizione al momento del default (esposizione verso il cliente);
PD = Probabilità di default dell’impresa (dipende dal rating dell’impresa);
LGD = Tasso di perdita in caso di insolvenza (dipende dalla tipologia di finanziamento e dalle garanzie a supporto dello stesso);Per le perdite inattese è previso un algoritmo più complesso che si basa sulla logica statistica del VaR (Value at Risk). Da questo algoritmo è possibile calcolare la ponderazione (RW) da applicare all’esposizione (EAD). Secondo le regole di Basilea 2, il Patrimonio di Vigilanza deve essere almeno l’8% degli impieghi ponderati per il rischio:
PV ≥8% EAD×RW
Un peggioramento della classe di rating di appartenenza dell’impresa affidata provoca un aumento della PD, la quale influenza il calcolo delle perdite attese e anche di quelle inattese (facendo aumentare così il Risk Weight). Chiaramente più elevato è il rischio del cliente affidato e maggiori saranno i costi per la banca (costi del rischio) e quindi gli oneri per il cliente finale.
Questo aspetto, sommato ad un peggioramento generalizzato della qualità del credito a seguito della crisi, hanno prodotto l’effetto del credit crunch: meno credito alle imprese e a tassi più elevati; mettendo così in ginocchio l’economia (effetto prociclico).
La crisi economica e finanziaria ha evidenziato altre inadeguatezze di Basilea 2 che si possono così sintetizzare:
- – inadeguatezza del livello e della qualità del capitale di vigilanza: il requisito patrimoniale minimo fissato dal Comitato di Basilea si è dimostrato sensibilmente inferiore rispetto a quello effettivamente necessario per prevenire le insolvenze bancarie. Anche la qualità del patrimonio si era ridotta, principalmente a causa del crescente ricorso a strumenti di capitale “ibridi” o “innovativi”; strumenti di debito piuttosto che di rischio.
- – crescita incontrollata della leva finanziaria: numerose banche europee, incoraggiate dalle politiche monetarie accomodanti dell’ultimo periodo, hanno spinto la leva finanziaria ben al di sopra della media di settore. Strutture del passivo così fortemente squilibrate non hanno saputo reggere la difficile situazione di crisi.
- – rischi di mercato sul trading book: il minore requisito patrimoniale a fronte delle attività detenute per la negoziazione (trading book) rispetto allo stesso richiesto per l’inserimento nel portafoglio commerciale (banking book) è risultato inadeguato ad assorbire perdite rilevanti su attività finanziarie che hanno risentito appieno del crollo dei mercati. Compresi rischi di cartolarizzazione e ri-cartolarizzazione.
- – prociclicità: i requisiti patrimoniali basati sui rating creditizi tendono a diminuire nelle fasi di crescita economica e ad aumentare in congiunture difficili. Nei periodi recessivi le banche, sottoposte a requisiti patrimoniali più stringenti, sono costrette a contrarre l’offerta di credito o addirittura ridurre i propri attivi, accentuando ulteriormente la fase negativa del ciclo.
- – eccessiva presenza di rischio sistemico: i Governi Centrali hanno dovuto salvare alcune istituzioni finanziarie c.d. too big to fail e too interconnected to fail al fine di evitare la trasmissione di shock idiosincratici all’intero sistema finanziario.
- – trasformazione delle scadenze troppo aggressiva e margini di liquidità insufficienti: molte banche si sono trovate impreparate di fronte ad un’inattesa caduta della liquidità dei mercati e sono riuscite a superare la crisi solo grazie all’ampia liquidità a basso costo offerta dalle banche centrali. Basilea 2 non ha dimenticato di trattare il rischio di liquidità ma si è limitato ad inserirlo all’interno del “secondo pilastro”. Di fatto, la normativa prudenziale ha ritenuto che l’accresciuta complessità del sistema finanziario potesse essere gestita e controllata grazie all’autoregolamentazione, confidando nel risk management delle banche. Tuttavia, la mancanza di un requisito patrimoniale esplicito, ha disincentivato un adeguato investimento in risorse umane e tecnologiche.A settembre 2011 i Governatori e i Capi delle Autorità di vigilanza del G20 hanno approvato le proposte del Comitato di Basilea, successivamente sottoposte ai Capi di Stato e di Governo agli inizi di novembre a Seul. Le nuove regole, sono entrate in vigore all’inizio del 2013 ma è previsto un lungo periodo transitorio (fino al 2019), per poter favorire un graduale adeguamento delle strategie operative delle banche ed evitare ricadute sulla ripresa economica.
Gli obiettivi che si intendono perseguire sono:
- – prevenire l’eccessiva assunzione di rischi da parte delle banche;
- – rendere il sistema finanziario più solido;
- – superare i limiti di Basilea 2.
Le principali novità previste da Basilea 3 si possono coì riassumere:
- – maggior capitale e maggior capitale di qualità primaria: si è intervenuti in primo luogo perrafforzare i requisiti patrimoniali definendo nuove soglie minime di capitale all’interno del primo
pilastro; vi è stata, inoltre, una ricomposizione del capitale a favore del CET1;
- – riduzione della Prociclicità: introduzione di un «buffer di conservazione» e di un «buffer anticiclico».Saranno promossi accantonamenti anticiclici (forward looking) a copertura delle perdite attese (impatto
IFRS);
- – introduzione di un requisito di leverage: per evitare una eccessiva assunzione di rischi viene introdottoanche un rapporto di leva secondo il quale il TIER1 deve mantenere un rapporto stabile rispetto le attività
(comprese quelle fuori bilancio) non ponderate;
- – aumento della copertura dei rischi (RW): aumento del requisito patrimoniale a fronte dei rischi dimercato, di controparte, di cartolarizzazione a fronte delle operazioni fuori bilancio.
- – requisiti a copertura del rischio di liquidità: introduzione di due regole quantitative sulla liquidità; unindicatore di breve termine (LCR) ed un indicatore strutturale (NSFR);
- – contenimento del rischio sistemico e del grado di interconnessione: le banche di rilevanza sistemicadovranno avere una capacità di copertura delle perdite maggiore dei requisiti minimi (da 1% a 2,5% – elevabile fino al 3% – ). Incentivi per ridurre il rischio di controparte.
I punti che vorremmo approfondire sono i primi due.
Secondo Basilea 3 il requisito di capitale complessivo rimane invariato all’8 %. Tuttavia, il Common Equity Tier 1 (CET1) – azioni ordinarie e riserve di utili – è stato fissato al 4,5% (a differenza dell’attuale 2% – valore previsto da Basilea 2); inoltre, il Tier 1 sale dall’attuale 4% al 6%1.
Come si può osservare il Comitato intende privilegiare chiaramente il capitale di qualità primaria, che è anche quello più costoso finanziariamente.
Accanto a questa ri-composizione del requisito minimo, il Comitato introduce delle nuove Riserve di Capitale (Buffer di Capitale).1 Il patrimonio di vigilanza complessivo è composto dalla somma algebrica degli elementi di seguito specificati.
1. Patrimonio di base o Tier 1 (in grado di assorbire le perdite in condizioni di continuità d’impresa o going concern): a. patrimonio di qualità primaria (Common Equity Tier 1);
b. Tier 1 aggiuntivo (Additionale Tier 1 o Lower Tier 1).
2. Patrimonio supplementare o Tier 2 (in grado di assorbire le perdite in caso di crisi – gone concern).
Il Common Equity Tier 1
è composto dalla somma algebrica dei seguenti elementi:- – azioni ordinarie (no risparmio e privilegiate) emesse dalla banca che soddisfano i criteri di classificazione come azioni ordinarie a fini regolamentari (o gli strumenti equivalenti per le banche costituite in forma diversa dalla società per azioni);
- – sovrapprezzo azioni derivante dall’emissione di strumenti ricompresi nel Common Equity Tier 1;
- – riserve di utili;
- – riserve da valutazione e altre riserve palesi;
- – azioni ordinarie emesse da filiazioni consolidate della banca e detenute da soggetti terzi (ossia interessi diminoranza)
- – aggiustamenti regolamentari applicati nel calcolo del Common Equity Tier 1.Nel Tier 1 aggiuntivo troviamo strumenti emessi dalla banca che soddisfano i criteri di computabilità nel Tier 1 aggiuntivo (e non ricompresi nel Common Equity Tier 1). Trattasi principalmente di obbligazioni perpetue, azioni privilegiate (consentono ai loro detentori di votare soltanto nel corso delle assemblee straordinarie e viene riconosciuto un dividendo maggiore rispetto a quello fissato per azioni ordinarie o precedenza nella restituzione del capitale) o di risparmio (no diritto di voto, dividendo garantito: minimo del 5% del valore nominale dell’azione; e comunque superiore a quello delle azioni ordinarie di almeno il 2% del valore nominale dell’azione stessa), se rispettano i requisiti previsti. In generale strumenti non garantiti privi di data di scadenza o clausole di rimborso anticipato; interamente versati; subordinati rispetto depositi e debiti subordinati;
Infine, il Tier 2 è composto dalla somma algebrica dei seguenti elementi:
- – strumenti emessi dalla banca che soddisfano i criteri di computabilità nel patrimonio supplementare (e non ricompresi nelpatrimonio di base); trattasi principalmente di debiti subordinati con scadenza non inferiore a 5 anni, privi di clausole di
rimborso anticipato.
- – sovrapprezzo azioni derivante dall’emissione di strumenti ricompresi nel patrimonio supplementare;
- – strumenti emessi da filiazioni consolidate della banca e detenuti da soggetti terzi che soddisfano i criteri di computabilità nelpatrimonio supplementare e non sono ricompresi nel patrimonio di base.
- – taluni accantonamenti per perdite su crediti (vedi documento ufficiale),
- – aggiustamenti regolamentari applicati nel calcolo del patrimonio supplementare.
In particolare, la Circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013, conformemente alle disposizioni comunitarie, prevede quattro nuove Riserve di Capitale. Le prime due risultano essere le più importanti in quanto di maggior impatto, le restanti riguardano soltanto gli enti a rilevanza sistemica :
- la riserva di conservazione del capitale (capital conservation buffer),
- la riserva di capitale anticiclica (countercyclical capital buffer),
- la riserva per gli enti a rilevanza sistemica globale (global systemically important institution buffer –G-SII buffer)
- e la riserva per gli altri enti a rilevanza sistemica (other systemically important institution buffer – O-SII buffer).
Dette misure concorreranno ad assicurare che il settore bancario assorba gli shock anziché trasmettere il rischio al sistema finanziario e all’economia più in generale. il Comitato, infatti, introduce una serie di strumenti volti ad attenuare la prociclicità e a rafforzare nelle fasi positive la capacità di tenuta del settore bancario. Tali misure hanno i seguenti obiettivi principali:
- – attenuare l’eventuale natura eccessivamente ciclica del requisito patrimoniale minimo;
- – promuovere accantonamenti anticiclici (forward looking);
- – preservare le risorse patrimoniali al fine di costituire a livello di singole banche e di sistemabancario riserve cui attingere nelle fasi di tensione;
- – conseguire il più ampio obiettivo macroprudenziale di proteggere il settore bancario nelle fasidi eccessiva espansione del credito. Il Buffer di Conservazione del Capitale
Le banche sono chiamate a detenere risorse patrimoniali superiori a quelle minime (buffer).
Una prima misura prevede che le banche siano dotate di un cuscinetto di capitale al di sopra dei minimi regolamentari pari al 2,5 per cento di common equity in rapporto all’attivo a rischio. Il Buffer è costituito da CET 1, da detenere in aggiunta al 4,5% minimo. Se il buffer viene utilizzato per coprire perdite dovrà essere ricostituito mediante l’accantonamento a riserva di utili non distribuiti. Si tratta di uno strumento utile per far fronte a periodi di stress (capital conservation buffer). Non è un nuovo minimo, ma una banca che si dimostra incapace di rispettare questo requisito sarebbe assoggettata a vincoli automatici alla distribuzione degli utili o al pagamento di bonus, fino a quando non abbia ricostituito il cuscinetto di capitale aggiuntivo. Qualora il patrimonio scenda al disotto di questo livello saranno imposti vincoli alla distribuzione di capitale. La banca potrà comunque svolgere normalmente la propria attività operativa qualora la sua dotazione patrimoniale scenda a causa di perdite all’interno dei valori indicati nell’intervallo di conservazione.
I vincoli regolamentari alla distribuzione degli utili sono stati riportati nella tabella qui sotto. Questi vincoli aumentano man mano che il capitale delle banche si avvicina ai requisiti minimi.
Requisiti minimi di conservazione del capitale relativi a una singola banca
Coefficiente Common Equity Tier 1
Coefficienti minimi di conservazione del capitale (in percentuale degli utili)
4,5% – 5,125% 100% >5,125% – 5,75% 80% > 5,75% – 6,375% 60% > 6,375% – 7,0% 40%
> 7,0% 0
Ad esempio, una banca con un coefficiente CET1 compreso tra il 5,125 e il 5,75% deve accantonare l’80% dei propri utili nell’esercizio finanziario successivo (ossia il tasso di distribuzione non deve superare il 20% in termini di dividendi, riacquisti di azioni proprie e pagamenti discrezionali di bonus). Se la banca desidera effettuare pagamenti che eccedono i vincoli imposti da questo regime, potrà raccogliere capitale presso il settore privato per un importo pari a quello che desidera distribuire in eccesso rispetto al vincolo.
Il buffer di conservazione entrerà in vigore gradualmente a partire dal 2016 (come si evince dalla tabella sotto riportata):
Il Buffer Anticiclico
Le perdite subite dal settore bancario possono essere estremamente ingenti quando una fase di flessione è preceduta da un periodo di eccessiva espansione del credito.
Tali perdite rischiano di destabilizzare il settore bancario e innescare un circolo vizioso nell’ambito del quale i problemi del sistema finanziario possono contribuire a una contrazione dell’economia reale, la quale a sua volta si ripercuote ancora sul settore bancario.
Queste interazioni evidenziano la particolare importanza che il settore bancario si doti di difese patrimoniali aggiuntive nei periodi di marcato aumento dei rischi di tensioni sistemiche.
Il buffer anticiclico è finalizzato a creare una relazione più stringente tra i requisiti patrimoniali del settore bancario e il contesto macrofinanziario in cui operano le banche.
Esso mantiene una funzione prociclica ma ha una finalità macroprudenziale, rispetto a quella microprudenziale del buffer di conservazione (che intende, invece, tutelare la solvibilità della singola banca).
Il buffer anticiclico intende assicurare che il sistema bancario conservi riserve di capitale in eccesso rispetto ai minimi.
Qualora si reputi che un’eccessiva crescita del credito aggregato sia associata all’accumulo di rischi sistemici, il buffer anticiclico sarà attivato dalle autorità nazionali con l’obiettivo di assicurare che il sistema disponga di una riserva patrimoniale che lo tuteli dalle perdite potenziali future.
Le autorità nazionali dovranno verosimilmente attivare tale buffer solo su base occasionale secondo il seguente schema:
– le autorità nazionali monitoreranno l’espansione del credito e altri indicatori in grado di segnalare l’accumulo di rischio sistemico e valuteranno se la crescita del credito sia eccessiva e se stia provocando l’accumulo di tale rischio. Sulla base di questa valutazione applicheranno ove opportuno un requisito di buffer anticiclico. Tale requisito sarà eliminato una volta venuto meno il rischio sistemico;
- – le banche attive a livello internazionale dovranno considerare l’ubicazione geografica delle loro esposizioni creditizie verso il settore privato e calcolare il proprio buffer anticiclico come media ponderata dei requisiti applicati nelle varie giurisdizioni verso cui presentano un’esposizione creditizia;
- – il buffer anticiclico cui è soggetta una banca amplierà l’entità del buffer di conservazione del capitale. Qualora non soddisfino tale requisito, le banche saranno soggette a restrizioni sulle distribuzioni.Ai fini della determinazione del coefficiente anticiclico interno, la Banca d’Italia determina trimestralmente un «indicatore di riferimento». L’indicatore di riferimento riflette, in maniera significativa, il ciclo del credito e i rischi derivanti dell’eccessiva crescita del credito in Italia, tenuto anche conto delle specificità dell’economia nazionale. Esso è basato sulla deviazione dalla tendenza di lungo periodo del rapporto tra credito e prodotto interno lordo, tenendo conto di un indicatore che rifletta le variazioni del rapporto tra credito erogato in Italia e prodotto interno lordo. Banca d’Italia determina quindi, su base trimestrale, il «coefficiente anticiclico interno». Il coefficiente viene pubblicato nel sito informatico di BI.
Il coefficiente è espresso come percentuale dell’esposizione complessiva al rischio delle banche che hanno esposizioni creditizie rilevanti nel territorio nazionale. Esso è compreso tra lo 0% e il 2,5% ed è fissato in intervalli di 0,25 punti percentuali o multipli di 0,25. BI, sulla base dell’indicatore di riferimento e di qualsiasi altro indicatore utile, può fissare un coefficiente anticiclico interno superiore al 2,5%. Le banche, per il calcolo del loro coefficiente anticiclico specifico, applicheranno il nuovo coefficiente anticiclico interno, in caso di incremento, a partire dal dodicesimo mese successivo alla data di pubblicazione del coefficiente stesso; Nel caso in cui il coefficiente anticiclico interno sia ridotto, la Banca d’Italia indica – senza che ciò abbia carattere vincolante – un periodo di tempo durante il quale il coefficiente anticiclico non sarà verosimilmente incrementato. La Banca d’Italia può riconoscere il coefficiente anticiclico superiore al 2,5% applicabile in uno Stato comunitario o in uno Stato extracomunitario, richiedendone l’applicazione, ai fini del calcolo del coefficiente anticiclico specifico, alle banche che abbiano esposizioni creditizie rilevanti in tali paesi.
Il coefficiente anticiclico specifico della banca è pari alla media ponderata dei coefficienti anticiclici applicabili nei vari paesi verso cui la banca ha esposizioni creditizie rilevanti.
Le banche identificano le «esposizioni rilevanti» nei diversi paesi, facendo riferimento al regolamento della Commissione europea previsto ai sensi dell’art. 140, par. 7 CRD IV (direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013), recante le norme tecniche di regolamentazione in materia di metodi per l’identificazione della localizzazione geografica delle esposizioni creditizie rilevanti. Ai fini del calcolo della media ponderata, le banche utilizzano i seguenti coefficienti anticiclici:
- – per le esposizioni creditizie rilevanti localizzate in Italia, il coefficiente anticiclico interno fissato dalla Banca d’Italia (secondo quanto già spiegato);
- – per le esposizioni creditizie rilevanti localizzate in uno Stato comunitario:
- – il coefficiente anticiclico fissato dall’autorità designata di quello Stato comunitario, se pari o inferiore al2,5%;
- – il coefficiente anticiclico fissato dall’autorità designata di quello Stato comunitario, se superiore al 2,5%e riconosciuto dalla Banca d’Italia;
- – il 2,5%, se il coefficiente anticiclico fissato dall’autorità designata di quello Stato comunitario è superioreal 2,5% e non è stato riconosciuto dalla Banca d’Italia;
- – per le esposizioni creditizie rilevanti localizzate in Stati extracomunitari:
- – il coefficiente anticiclico fissato dall’autorità competente dello Stato extracomunitario, se superiore al2,5% e riconosciuto dalla Banca d’Italia;
- – negli altri casi, il coefficiente anticiclico fissato dall’autorità competente dello Stato extracomunitario odalla Banca d’Italia.
Questa riserva di capitale anticiclica dovrebbe raffreddare l’economia nei momenti espansivi e sostenere l’offerta di credito nei momenti di rallentamento.
Il Buffer anticiclico opera come una estensione del buffer di conservazione del capitale.
Tale riserva, applicata a ciascuna banca, rispecchierà la composizione geografica del suo portafoglio di esposizioni creditizie. Le banche dovranno soddisfare il requisito relativo a questo buffer con Common Equity Tier 1 o altro capitale pienamente in grado di assorbire le perdite, o saranno soggette ai vincoli di distribuzione.
Requisiti minimi di conservazione del capitale relativi a una singola banca, se la banca è soggetta a un buffer anticiclico del 2,5%
Coefficiente Common Equity Tier 1
Coefficienti minimi di conservazione del capitale (in percentuale degli utili)
4,5% – 5,75% 100% >5,75% – 7,0% 80% > 7,0% – 8,25% 60% > 8,25% – 9,5% 40%
> 9,5% 0
Il regime del buffer anticiclico sarà introdotto gradualmente, parallelamente a quello del buffer di conservazione del capitale, tra il 1° gennaio 2016 e la fine del 2018 e diventerà pienamente operativo il 1° gennaio 2019. Ciò significa che il buffer anticiclico partirà da un livello massimo pari allo 0,625% delle attività ponderate per il rischio il 1° gennaio 2016 e aumenterà in ciascuno degli anni seguenti di ulteriori 0,625 punti percentuali fino a raggiungere il livello massimo finale del 2,5% il 1° gennaio 2019.
Impatto sul Pricing e sulle Imprese
Le misure descritte spiegano che, a regime (2019), il requisito complessivo minimo delle banche non dovrà mai scendere sotto l’8 per cento, ma potrà, in condizioni cicliche particolarmente positive, arrivare fino al 13 per cento. Infatti:
8% (Tier1 + Tier2) + 2,5% (buffer conservazione) + 2,5% (buffer anticiclico) = 13%
Si delinea, così, una nuova struttura del capitale rispetto a Basilea 2:
Chiaramente, a parità di PD, l’assorbimento di capitale aumenterà per ogni cliente affidato. Nel grafico seguente si può osservare come varia l’assorbimento del capitale al variare della PD (classe di rischio dell’impresa affidata) in Basilea 2 e in Basilea 3 ipotizzando sia l’attivazione del solo Buffer di Conservazione che del Buffer Anticiclico.
Quali conseguenze può generare tutto ciò?
Per rispondere a questa domanda è necessario introdurre una formula di pricing, cioè una relazione capace di esprimere, in termini generale, quali costi vanno imputati nel prezzo finale applicato al cliente affidato dalla banca. Nel costo del capitale esistono diversi fattori che in sintesi possono essere descritti come segue:
i = rf + speread
Il tasso di interesse pagato dall’impresa (i) è pari alla somma di una componente risk free (ad esempio l’euribor) più uno spread. Lo spread serve alla banca per coprire i suoi costi operativi (costo dei servizi, costo del lavoro, ammortamenti, ecc.) e i costi del rischio. I costi del rischio sono rappresentati da:
- – il costo delle perdite attese: è pari al prodotto PD X LGD
- – il costo delle perdite inattese: è dato dal rendimento atteso dai conferenti patrimonio (principalmente soci) a copertura delle perdite inattese; cioè dal guadagno che la banca dovrebbe riuscire ad assicurare sul capitale più rischioso per evitare un deprezzamento del valore delle sue azioni (distruzione di valore).Il calcolo del primo valore è più semplice, mentre il secondo è più articolato. Per calcolare il costo del capitale di rischio è necessario utilizzare un altro modello di pricing, cioè un’altra formula capace di spiegare il rendimento atteso dai conferenti equity (i soci della banca): si è scelto di utilizzare il modello del CAPM2
Secondo tale approccio il rendimento atteso dai soci (rE) è pari alla somma di un rendimento risk free (rf) più un premio per il rischio. Il premio per il rischio (o Expected Risk Premium) si calcolato come prodotto tra il Beta medio di società quotate “simili” alla target ed un premio per il rischio di mercato ottenuto come differenziale tra i rendimenti di un indice azionario rispetto a quello ottenuto dai titoli di Stato. In forma analitica il modello si presenta come segue.Scelta parametri del modello:
– Tasso risk free: per quanto riguarda il tasso privo di rischio si è utilizzato un tasso sui Titoli di Stato italiani
(BTP) di medio/lungo periodo. Il tasso sui BTP trentennali (asta giugno 2015) che al momento della valutazione risulta essere pari al 3,25% (rendimento pari alla cedola, prezzo di mercato al momento della
valutazione quasi alla pari)3
- – Beta: si è calcolato un beta medio (media ponderata per la capitalizzazione di borsa) partendo da uncampione di banche quotate.
- – Il premio per il rischio (ERP): si è utilizzato il premio per il rischio associato all’equity del Paese Italia (daAswath Damodaran, “Risk Premiums for Other markets”, January 2015, Sito internet: www.stern.nyu.edu)
Di seguito riportiamo una nostra simulazione al fine di stimare l’impatto atteso sul pricing (spread) prodotto da Basilea 3 per effetto dei buffer richiesti).
Le ipotesi sottostanti il modello sono le seguenti:- Lo spread tiene conto solamente del costo del rischio (perdite attese e perdite inattese) e non dei costi operativi della banca;
- Si ipotizza che gli asset liquidi abbiano un rendimento quasi nullo;
- Il capitale assorbito è inteso di qualità primaria (non si considera cioè una media ponderata del costo deidiversi componenti il capitale);
- Il costo del capitale di rischio è stato stimato utilizzando il modello del C.A.P.M (Capital Asset Pricing Model).
- Si ipotizza una LGD ed una Maturity costanti (LGD = 50%; M = 2,5 anni);
- I dati ipotizzano una condizione di Basilea 3 «a regime».
Stima tasso di attualizzazione (re) utilizzando modello CAPM
rf Re3,25% 18%
Ipotesi:
- – il tasso risk free pari al rendimento su BTP trentennali, emissione giugno 2015 (Fonte: Dipartimento delTesoro)
- – il parametro beta è stato calcolato come media ponderata dei beta di un campione di banche quotate,ipotizzando il rischio del business come correlato al rischio dei clienti
- – il premio per il rischio (ERP) è stato scelto sulla base degli studi pubblicati da Aswath Damodaran, “RiskPremiums for Other markets” Last Updated in January 2015, sito internet: www.stern.nyu.edu
Stima del Beta Medio Ponderato utilizzando un campione di banche quotate nella Borsa di Milano Società Beta Ponderato Unicredit 0,604 Intesa S. Paolo 0,880 Banca MPS 0,089 Banca Popalere di Milano 0,062 Banco Popolare Emilia Romagna 0,052
1,687
Fonte: http://www.reuters.com
L’impatto sul pricing per le aziende Corporate (con fatturato superiore a 50 mln di euro) e Small (con fatturato tra 5 e 50 mln di euro) viene descritto dai seguenti grafici
3 Fonte: Dipartimento del Tesoro: http://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/debito_pubblico/risultati_aste/risultati_aste_btp_30_anni/BTP_30_An ni_Risultati_Asta_dellx11-12.06.2015.pdf
|
Beta |
ERP |
|
1,69 |
8,60% |
|
Beta |
Capitalizzazione |
|
1,73 |
€ 38.569,20 |
|
1,68 |
€ 57.923,23 |
|
1,77 |
€ 5.549,37 |
|
1,55 |
€ 4.413,74 |
|
1,41 |
€ 4.071,87 |
|
€ 110.527,41 |
I risultati dimostrano un aumento atteso del costo del capitale soprattutto per le imprese di grandi dimensioni. Ad esempio, l’applicazione delle regole di Basilea 3, a pieno regime (dal 2019), potrebbe generare per un’impresa Corporate classificata con PD del 4% un aumento del tasso di interesse di 1,39% (0,70% in assenza di Buffer Anticiclico). A parità di condizioni, per una azienda small, il costo del credito potrebbe invece salire dell’1,05% (0,52% in assenza di Buffer Anticiclico). Tali variazioni sono tanto maggiori quanto peggiore è la classe di rating dell’impresa affidata. Se la banca ha rilevanza sistemica, l’impatto potrebbe essere addirittura maggiore.
Chiaramente, alcuni spread risultano, nella pratica, non applicabili (vista la loro dimensione); in questi casi l’Istituto di Credito, in assenza di opportune garanzie aggiuntive sufficientemente mitigatorie, sarà costretto a respingere la richiesta di affidamento.
Più complessa, invece, la gestione del credito deteriorato su clientela già esistente, dove possono rendersi piuttosto indispensabili nuove soluzioni di «rientro» per il recupero degli affidamenti non performanti (EVA negativo).
Va segnalato che il Parlamento Europeo ha deciso di prevedere una agevolazione per i finanziamenti alle PMI. Con un fattore di graduazione, è stata ridotta la ponderazione del rischio per i crediti alle PMI e innalzato il cosiddetto limite per il retail. Le banche, quindi, per i crediti concessi alle medie imprese fino all’importo di 1,5 milioni di euro, non devono pretendere nessun capitale supplementare al di là della regolamentazione vigente.
Si evitano così aumenti dei tassi d’interesse sul credito dovuti al maggior supporto di capitale per i fidi alle medie imprese. Lo SME Supporting Factor è applicabile alle esposizioni di imprese che abbiano meno di 50 milioni di fatturato e non siano in stato di Default e la cui esposizione complessiva verso la banca e il gruppo a cui questa appartiene, comprese le esposizioni in stato di default e considerando anche le esposizioni del gruppo economico cui l’impresa appartiene, siano inferiori a 1,5 milioni di euro (senza considerare gli eventuali crediti garantiti da immobili residenziali); La proposta italiana del SME Supporting Factor è stata approvata dal Parlamento europeo ed è entrata in vigore dal 1.1.2014. Il fattore di sostegno (posto uguale al 76,19%) porta gli RWA (= RW X EAD) ad un livello tale per cui, applicando il coefficiente patrimoniale del 10,5%, si ottiene un requisito patrimoniale equivalente a quello ottenuto applicando il coefficiente patrimoniale precedente a Basilea 3, ossia l’8% (anziché 10,5%). Questo attenuerà complessivamente l’impatto di Basilea 3 verso le imprese più piccole, anche se è non è ancora stato chiarito se il limite indicato funzionerà da franchigia per gli affidamenti di dimensione più elevata.



